MODULO SPAZIO

 

LA RAPPRESENTAZIONE DELLO SPAZIO IN ARTE

 

Cosa ci viene in mente parlando di spazio figurativo? Sicuramente penseremmo alla prospettiva lineare e alla tipica rappresentazione della profondità attraverso linee convergenti verso uno o più punti di fuga.

Eppure questo è solo uno dei tanti modi utilizzati nel corso della storia dell’arte per raffigurare lo spazio su una superficie bidimensionale .

Ne esistono, infatti, almeno nove! Naturalmente non tutti descrivono in modo matematico ed univoco lo spazio tridimensionale ma riescono comunque a suggerire un senso di profondità o, comunque, una disposizione reciproca degli oggetti. Si tratta quindi, più propriamente, di “indizi di profondità”.

Vediamoli in ordine più o meno cronologico, tenendo conto che si tratta di una suddivisione un po’ forzata, in quanto spesso, nella stessa opera, sono presenti anche più indizi contemporaneamente.

1) RIBALTAMENTO:

Una delle modalità più antiche per la rappresentazione dello spazio e degli oggetti su una superficie bidimensionale è quella del ribaltamento: le cose sono raffigurate contemporaneamente in pianta e di profilo attraverso il ribaltamento di un piano sull’altro. Questo sistema, utilizzato nell’arte egizia (come si nota nella famosa rappresentazione dello stagno), sarà ripreso dal Cubismo per mostrare la realtà nelle sue vere forme e non come appare attraverso la deformazione prospettica (ad esempio in Picasso, Grande natura morta, 1917).

2) SOVRAPPOSIZIONE:

Un effetto di profondità spaziale si ottiene quando un oggetto ne copre parzialmente un altro: non si può fare a meno, infatti, di presumere che fra i due il primo sia il più vicino a noi. Nell’antichità questa tecnica si usava spesso come “scaglionamento orizzontale” con la sovrapposizione delle figure di profilolungo una fascia (si osservi il dipinto murale egiziano, 1420 a.C.). Nella pittura contemporanea alcuni artisti sono riusciti a ricreare molti livelli di profondità solo attraverso la sovrapposizione di elementi su vari piani (come nell’opera di Henri Rousseau, Cavallo attaccato da un giaguaro, 1910).

3) ALTEZZA SUL PIANO

In generale, più un oggetto è situato verso la parte alta del nostro campo visivo e più viene percepito come distante. Anche questo sistema era usato nell’arte antica attraverso lo “scaglionamento verticale”, cioè la distribuzionedegli oggetti per fasce sovrapposte (ad esempio nel mosaico del porto a Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna, VI sec.). Lo stesso sistema è visibile nell’opera di Paul Klee, Castello e Sole, 1928.

4) DIMINUZIONE DELLE GRANDEZZE APPARENTI

Se si suppone di avere davanti oggetti della medesima grandezza, quelli fra loro che appaiono più piccoli sono considerati maggiormente lontani perché l’occhio umano percepisce gli oggetti in primo piano con dimensioni maggiori rispetto a quelli lontani. Questa considerazione si manifesta già nella pittura medievale (si osservino le figure umane nell’affresco di Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del Buon Governo, 1340). Come per gli indizi precedenti, anche questo si può ritrovare nell’arte contemporanea (ad esempio in Monet, Covoni, 1891).

5) GRADIENTE DI TESSITURA:

Ogni superficie ha una grana, una tessitura caratteristica il cui progressivo addensamento fa sembrare che la superficie si allontani dall’osservatore. Questo accade, ad esempio, con le onde del mare e con campi di fiori. Si tratta di un tipo di indizio poco frequente nella pittura antica. Si riscontra, invece, in quella contemporanea con notevole frequenza (sempre in Monet, I papaveri, 1873 o in Klimt, Campo di papaveri, 1907).

6) PROSPETTIVA ATMOSFERICA

Questo effetto, teorizzato da Leonardo da Vinci, prevede che, per via dell’addensarsi dell’atmosfera interposta, gli oggetti lontani diventino più sfumati, più chiari e dal colore grigio-azzurro conferendo grande profondità ai paesaggi (come si può osservare in Leonardo, particolare de La Vergine delle rocce, 1494). È un effetto ripreso da molta pittura paesaggista come quella romantica (ad esempio Friedrich, Le tre età dell’uomo, 1834).

7) OMBREGGIATURA

La distribuzione di luci e ombre sugli oggetti (ombre proprie) ne favorisce la percezione del volume mentre la proiezione di ombre sull’area circostante (ombre portate) suggerisce l’idea dello spazio. Oggetti più luminosi, inoltre, appaiono più vicini. Nell’arte medievale l’ombra portata è spesso innaturale, una specie di lingua scura che fuoriesce dai piedi (vedi mosaici del mausoleo di Galla Placidia). È solo con la pittura realista del Seicento che l’ombra proiettata sullo sfondo riesce a dare una vera idea di spazio (come in Caravaggio, Cena in Emmaus, 1602).

8) SFOCATURA:

La minore nitidezza di ciò che sta dietro l’oggetto in primo piano permette di percepire chiaramente il distacco tra oggetto e sfondo e quindi la reciproca distanza. È un effetto che somiglia alla prospettiva atmosferica ma avviene solo nella fotografia e nel cinema per distanze anche molto minori a causa della messa a fuoco sul primo piano o sullo sfondo.

9) PROSPETTIVA LINEARE

È un sistema di rappresentazione nel quale gli oggetti vengono proiettati su un quadro da un punto posto a distanza finita (occhio dell’osservatore). Tutte le linee che si allontanano dal quadro convergono verso punti all’infinito posti sulla linea d’orizzonte. È il sistema più “scientifico” di rappresentare lo spazio e gli oggetti, in quanto permette di realizzare anche l’operazione inversa(cioé il disegno della pianta e della sezione dell’ambiente in scala) attraverso la cosiddetta restituzione prospettica. La prospettiva lineare (centrale o accidentale) è definita nel Rinascimento ad opera di artisti che l’hanno applicata in maniera esemplare nelle loro tele (come Paolo Uccello nel Miracolo dell’ostia profanata, 1469). Anche nella pittura del Novecento continua ad essere utilizzata sebbene l’effetto non sia più quello di uno spazio razionale e misurato quanto quello di un ambiente straniante e sospeso (ad esempio in De Chirico, particolare de Le muse inquietanti, 1917).